Un rapporto Oxfam denuncia la sottrazione di risorse erariali e comportamento aggressivo sui prezzi dei medicinali da parte di 4 colossi del settore farmaceutico. Si stimano ammanchi per 3,7 miliardi di dollari annui tra il 2013 e il 2015 nelle economie avanzate, 270 milioni di dollari all’anno solo per l’Italia
Le più importanti case farmaceutiche al mondo mettono a repentaglio la salute dei cittadini, privando i governi di preziose risorse erarialiche potrebbero essere investite nel potenziamento dei sistemi sanitari pubblici, e compromettendo la possibilità di accesso ai farmaci essenziali per milioni di persone. Non è raro inoltre l’utilizzo indebito della propria influenza per contrastare i tentativi di contenere il costo dei farmaci e rafforzare le attività di controllo e vigilanza pubblica sul settore.
É quanto emerge dal nuovo rapporto Prescription for poverty pubblicato oggi da Oxfam, che esamina gli impatti diretti e indiretti sulle disuguaglianze economiche e di salute riconducibili alle attività di Pfizer, Merck, Johnson & Johnson e Abbott Laboratories. Note per prodotti come Neutrogena, Polase, e Brufen, ma anche per molti farmaci salvavita, sono tra le più importanti imprese del settore farmaceutico, con un volume di ricavi pari a 1.800 miliardi di dollari nel decennio 2006-2015. Un ammontare di poco inferiore al PIL italiano del 2016.
Maggiori utili registrati nei paradisi fiscali
Oxfam ha condotto un’analisi dei bilanci consolidati depositati dalle società capogruppo negli Stati Uniti ed esaminato i bilanci pubblici di 359 sussidiarie dei 4 gruppi in 19 Paesi nel periodo 2013-2015, riscontrando tracce di un potenziale trasferimento di profitti da Paesi a fiscalità medio-alta verso giurisdizioni dal fisco agevolato.
“L’aggressiva pianificazione fiscale, senza verosimilmente contraddire le prescrizioni di legge, pone seri interrogativi sul rispetto dello spirito delle normative fiscali e di quell’equità fiscale, cui alcune delle compagnie esaminate dichiarano esplicitamente di ispirarsi nella propria mission e politica societaria”, ha dichiarato Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia.
Tanto nelle economie avanzate esaminate (Australia, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Spagna) quanto nei mercati emergenti e paesi in via sviluppo (Cile, Colombia, Ecuador, India, Pakistan, Perù e Tailandia) i margini medi degli utili di Pfizer, Merck, Johnson & Johnson e Abbott al lordo delle imposte sono risultati estremamente bassi: rispettivamente del 7% e del 5% nel triennio 2013-2015. In altre parole, un utile lordo di appena 7 e 5 centesimi per ogni dollaro fatturato.
Eppure, su scala globale, i quattro colossi hanno dichiarato alla SEC, la Consob statunitense, profitti annui che raggiungevano in alcuni casi il 30% dei ricavi. I profitti mancanti non sono evaporati, ma se n’è trovata traccia in quattro paradisi fiscali societari (Belgio, Irlanda, Paesi Bassi e Singapore). Oxfam ha riscontrato in tali Paesi margini medi di profitto prima delle imposte pari al 31%.
’organizzazione non governativa stima che il potenziale trasferimento degli utili verso giurisdizioni a fiscalità agevolata possa aver comportato perdite fiscali complessive per le economie avanzate pari a 3,7 miliardi di dollari all’anno nel triennio 2013-2015.
Per l’Italia, in cui il margine di utili pre-imposte è risultato in media del 6%, la sotto-contribuzione fiscale da parte dei 4 colossi potrebbe aver causato un ammanco annuo da 270 milioni di dollari.
Prezzi dei farmaci insostenibili per i Paesi a basso e medio reddito
Il rapporto evidenzia inoltre come le case farmaceutiche arrechino danno alla salute delle persone più povere, applicando sovrapprezzi sui farmaci e rendendoli così inaccessibili. Un esempio è dato dal ciclo standard da dodici settimane di Paclitaxel, farmaco antitumorale prodotto da Pfizer per 1,16 dollari e rivenduto negli Stati Uniti a 276 dollari e nel Regno Unito a 912 sterline.
Il costo dei farmaci ha conosciuto un’impennata negli ultimi anni. Nel 2017, negli USA sette dei nove farmaci più venduti da Pfizer, Merck e Johnson & Johnson hanno conosciuto incrementi di prezzo superiori al 10%. Il costo di Lyrica, un farmaco contro il dolore neuropatico nei pazienti diabetici ha visto lo scorso anno un rialzo del 29% da parte di Pfizer, contribuendo a vendite per oltre 4,5 miliardi di dollari. Il costo del trattamento mensile con Ibrance, un farmaco prodotto da Pfizer per il trattamento del cancro al seno metastatico, si è attestato nel mercato statunitense di poco sotto i 10.000 dollari. Un prezzo insostenibile negli Stati Uniti, dove il costo delle spese mediche rappresenta la prima causa di bancarotta personale. Nei Paesi a basso e medio reddito tali prezzi pongono inoltre sotto forte pressione i bilanci della sanità pubblica, costringendo lo Stato a scaricare la spesa direttamente sui malati e le loro famiglie. È, ad esempio, il caso della bedaquilina, un farmaco per il trattamento della tubercolosi multi-resistente complessa. Il costo di una terapia semestrale in Sudafrica, stabilito da una sussidiaria di Johnson & Johnson, è di 820 dollari. Un prezzo che ne esclude la disponibilità per la maggior parte di chi ne avrebbe bisogno, visto che il costo stimato di un equivalente generico, se disponibile, si aggirerebbe intorno a 48 dollari.
“Le strategie per contrastare gli alti prezzi dei farmaci e favorire un’innovazione a misura dei bisogni dei pazienti devono restare un’assoluta priorità per i governi. – conclude Bacciotti - Vale la pena qui ricordare il rapporto dell’High Level Panel del Segretario Generale ONU sull’Accesso ai Medicinali, che dettaglia una serie di raccomandazioni ai Governi per accelerare l’attuazione di riforme urgenti volte a garantire tecnologie sanitarie accessibili e alla portata di coloro che ne hanno bisogno. Sono necessarie azioni a livello sia nazionale che globale. L’Italia, che in passato ha saputo porre al centro dei negoziati sul prezzo dei farmaci i bisogni dei propri malati (come per il caso dell’epatite C), deve porsi alla guida di uno slancio globale verso strategie innovative per rendere i farmaci disponibili e accessibili a tutti anche nei paesi poveri”.
200 milioni di dollari all’anno in lobbying
Non si trascura infine il condizionamento dell’intero spettro politico statunitense da parte del settore farmaceutico, la cui spesa per lobbying (200 milioni di dollari all’anno e un esercito di 1.500 persone nel 2017) non conosce rivali tra le imprese di altri settori. Un’azione condotta per tutelare i propri interessi sia in materia sanitaria che fiscale, oltre che per il rafforzamento delle proprie posizioni commerciali. Tra le aziende farmaceutiche protagoniste del rapporto, Pfizer è in seconda posizione per la spesa per lobbying, seguita da Johnson & Johnson, in sesta posizione, Merck, in settima, e Abbott in tredicesima.
fonte: http://www.vita.it/it/article/2018/09/18/cosi-le-big-pharma-sottraggono-risorse-agli-stati/149064/